domenica 1 giugno 2008

L'ECO DI BERGAMO - "KEBAB E PIZZERIE, IN CITTA' ORMAI SIAMO AL TESTA A TESTA"

Sono 22 i take away, la metà di proprietà di maghrebini Il nuovo locale in Città Alta fa discutere, ma a tavola...

di Elena Catalfamo

Cara e vecchia pizza margherita addio, meglio un kebab. Se i bergamaschi che hanno risposto al sondaggio online sul sito dell'Eco di Bergamo si dicono, come la Lega, in sei casi su 10 contrari, all'apertura di un kebab in piazza Mercato delle Scarpe, quando poi si siedono a tavola alla fine quel piatto mediorientale sembrano non disdegnarlo affatto. Almeno se si guarda il numero di kebab e di pizzerie presenti in città. È il melting pot, come lo chiamano gli esperti. Quella sana contaminazione che parte proprio dalla tavola. Che ne sarebbe oggi della nostra polenta se qualcuno non ci avesse portato da molto lontano la farina gialla?
Non catalogati come esercizi commerciali, per scoprire quanti kebab ci sono a Bergamo bisogna andare a spulciare i dati dei laboratori artigianali. Infatti i kebab non rientrano tra la categoria di bar e ristoranti ma tra coloro che, come le pizzerie e le pasticcerie, producono un piatto e quindi sono artigiani a tutti gli effetti. E, ironia della sorte, i kebab che aprono in città rientrano proprio nella categoria delle pizzerie d'asporto. Così se i take away della tradizione napoletana sono 22, in città, quando si scorre l'elenco degli artigiani proprietari delle suddette pizzerie, il 50% si chiamano Abdoul o Mohammed. Vale a dire: 11 sarebbero autentiche pizzerie e 11 invece potrebbero essere kebab.
«Ho qui sotto mano l'elenco delle pizzerie d'asporto, categoria in cui rientrano anche i punti vendita dei kebab – spiegano Marco Trussardi e Danilo Bianchi, dell'area mestieri dell'Associazione Artigiani –: sono 22 in città ma la maggior parte dei proprietari è di nazionalità maghrebina, almeno stando ai nomi». Certo, spiegano gli artigiani, il dato è solo indicativo: nulla vieta infatti che Abdul o Mahammed in realtà abbiano aperto delle pizzerie, per esempio, «ma diciamo che a memoria, tra quelli che si sono presentati per iscriversi all'albo, la maggior parte ha dichiarato di aprire un kebab».
«Il dato va integrato – spiegano sempre dall'Associazione artigiani –: per esempio non sono conteggiati qui quelli che si registrano alla Camera di Commercio come imprese. Sta crescendo infatti il dato delle catene di kebab che quindi hanno la casa madre magari a Milano e che aprono una serie di punti vendita sul territorio. In questo caso non rientrano tra i laboratori artigianali». Lo scarto potrebbe quindi essere più ampio di quello rilevato tra i pochi dati disponibili. In provincia invece resiste la tradizione: sono 101 le pizzerie d'asporto, di cui nove kebab.
E se, come vuole una delle vecchie regole d'oro del mercato, l'offerta risponde alla domanda, pare proprio che negli ultimi tempi, complice la crescente presenza di stranieri - turisti e immigrati -, i gusti culinari dei bergamaschi stiano cambiando. E la carne di manzo, o di montone, suona come un piatto completo e anche economico. Ecco quindi che nell'antico borgo di Città Alta apre un kebab che ha generato un vespaio. La Lega ha sollevato il problema del rispetto della tipicità del borgo medievale e la necessità di regolare con un apposito piano le aperture tra le Mura. Il botta e risposta politico è divampato, tra chi – Verdi e Pd – ha fatto notare che il Comune nulla può sulle licenze e che quello che maggiormente dava fastidio era l'odore di kebab. Una pioggia di lettere giunte in redazione hanno dato il segnale di quanto il tema abbia stimolato i bergamaschi. Inoltre su 755 lettori che hanno risposto al sondaggio online, il 63% si sono detti contrari all'apertura.
Fautore involontario di questa querelle il gestore del nuovo kebab, verso cui alcuni bergamaschi si sono levati a difesa. «Il titolare del kebab in oggetto – spiega Barbara Savà – residente in Italia da anni, è un lavoratore indefesso: ha egregiamente condotto il suo negozio in Borgo Santa Caterina - borgo storico - senza che nessuno potesse lontanamente pensare che infrangesse le regole. Anzi ha operato una selezione della clientela in modo da operare nel rispetto delle leggi. So che per qualcuno sarà difficile da credere ma ci sono extracomunitari che vengono in Italia per lavorare seriamente».
Mentre s'infiamma la battaglia culinaria, c'è già chi tenta nuove commistioni tra pizza e kebab: in alcune pizzerie d'asporto infatti la tradizionale margherita è condita dalla tipica carne arrosto. E, dalla Spagna, c'è chi ricorda che oggi i bergamaschi non mangerebbero polenta se qualcuno non avesse importato il granoturco. «Vorrei congratularmi con Silvia Lanzani, consigliere comunale della Lega – scrive ironico Gigi Signori, di Murcia, in Spagna – per quanto ha espresso in difesa delle ricchezze culturali e artistiche della nostra bella città». «Vedo, da quanto scrivete – aggiunge il bergamasco che vive nella penisola iberica – che anche altri si sono aggiunti. Grazie. E a proposito aggiungo: non oso pensare cosa sarebbe oggi il nostro piatto tipico bergamasco, senza l'"invasione" di un prodotto che proprio bergamasco da sempre non era: il granoturco. Pensi un po', signora Lanzani, saremmo senza polenta!».

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